Federico Fellini è considerato dalla maggior parte dei critici, dai cinefili e dal “normale” pubblico il regista migliore che l’Italia abbia mai avuto.
È riuscito, in 50 anni di carriera, ad entrare nel cuore di tutti e a portare la cinematografia del Belpaese su un piano di risonanza che non aveva mai raggiunto prima, dando vita al decennio d’oro del cinema italiano (con il film “La Dolce Vita”), che durerà per tutti gli anni ’60 e porrà fine al Neorealismo.
Quentin Tarantino, David Lynch, Woody Allen, Tim Burton, sono solo alcuni dei registi più influenzati dalla poetica felliniana e dalla voglia di raccontare il cinema per quello che è veramente: finzione e magia, anche se a Fellini piaceva usare più la parola sogno.
Oggi parleremo del suo stile, della sua poetica e di come il suo operato influenzi ancora le generazioni, senza tralasciare informazioni importante sulla sua vita.
“Non voglio dimostrare niente, voglio mostrare.”
Federico Fellini.
Vita in breve
Federico Fellini nasce a Rimini il 20 Gennaio del 1920, in una famiglia piccolo-borghese.
Nel 1939 si trasferisce a Roma e comincia a lavorare come autore radiofonico per l’EIAR (dove conoscerà la sua futura moglie Giulietta Masina) e come fumettista, una sua grandissima passione che tornerà in varie opere cinematografiche.
Tra il 1942 e il 1943, Fellini collabora alla stesura delle sue prime sceneggiature, raggiungendo una certa rilevanza con “Roma città aperta” di Roberto Rossellini.
Successivamente, oltre a sceneggiare altri film di Rossellini, Fellini scrive per vari maestri del cinema italiano, tra cui Pietro Germi, Mario Bonnard e Alberto Lattuada.
Fu proprio insieme a quest’ultimo che, nel 1950, Fellini esordisce alla regia con il film “Luci del varietà”, co-diretto insieme a Alberto Lattuada, in cui figura anche come produttore e sceneggiatore. Il suo esordio da solista avviene invece 2 anni più tardi, con “Lo sceicco bianco”.
L’ottimo successo dell’opera prima, porta Fellini a continuare la sua carriera da regista, che da lì a poco si sarebbe consacrata con “La strada”, film con cui vinse il suo primo Oscar.
Negli anni ’60, Fellini dà vita a due dei suoi più grandi capolavori, riconosciuti da tutti come pietre miliari del cinema, ovvero “La Dolce Vita” e “8½”. Con queste due opere inaugura la nascita dell’epoca d’oro del cinema italiano e si guadagna il titolo di maestro.
Dopo aver dato vita a pellicole di grande importanza culturale e riconosciute da tutti come capolavori del cinema (“Roma”, “Il Casanova di Federico Fellini”, “Amarcord”, “La città delle donne”), Fellini muore, a causa di complicazioni dovute a pregressi ictus, il 31 Ottobre del 1993, in procinto di girare un film su Pinocchio.
“Felliniano… avevo sempre sognato, da grande, di fare l’aggettivo.”
Federico Fellini.
Lo stile e la poetica di Fellini
Il cinema di Federico Fellini con una parola, sarebbe felliniano, aggettivo che è entrato a far parte persino del nostro vocabolario. Questa parola è nata proprio per riferirsi al suo stile, talmente particolare e innovativo da non avere una collocazione all’interno degli standard cinematografici. Il termine felliniano può essere inteso come un sinonimo di grottesco, nella sua accezione più stramba, onirico, fantastico e/o bizzarro.
Il sogno
Al realismo, infatti, Fellini non ha mai badato. Non gli è mai interessato rappresentare la realtà nei suoi film. Per questo motivo prese una strada diversa dai suoi coetanei neorealisti, dando vita a un nuovo movimento chiamato fantarealismo, basato sul surrealismo e l’immaginifico.
In tutti i suoi film, Fellini racconta di sé tramite una profonda impostazione autobiografica, in cui l’elemento predominante e ricorrente è il sogno.
La realtà che ha sempre raccontato Fellini è quella dell’inconscio, e mai quella del mondo ordinario. Anche se i suoi primi film (“Lo sceicco bianco”, “I vitelloni”, “La strada”, “Il bidone” e “Le notti di Cabiria”) possono sembrare realisti, sono in verità delle fiabe in cui la componente felliniana la fa da padrone. Fellini parte dalla realtà, per poi fantasticare su di essa.
Questo suo stile si fa prorompente nella seconda parte della sua carriera, che inizia con “La Dolce Vita”, film in cui molto spesso non capiamo quali scene siano reali o finte (come ad esempio la famosa scena di Anita Ekberg nella fontana di Trevi o il finale in cui viene ritrovato un mostro sulla spiaggia).
Nei film successivi, Fellini elimina quasi ogni fonte tangibile che ci faceva restare attaccati alla realtà. Mette al centro delle sue pellicole un mondo dove realtà e finzione si mescolano in un connubio perfetto, tanto da risultare indistinguibili l’uno dall’altro.
Fellini, per mettere ancor di più in risalto la sua poetica, girava ogni singola scena dei suoi film in teatro di posa (il famoso Teatro 5 di Cinecittà, a Roma), così da rendere ogni ambiente e ogni luogo privo di verità, avvolto da un velo di finzione in cui le sue opere danzano leggiadramente.
Anche la scelta di attori presi dalla strada o poco conosciuti è un elemento cardine dei suoi film. Ogni forma di contatto con la realtà veniva eliminata. La scelta del doppiaggio per quasi tutto il cast non è da meno, avendo sempre la stessa funzione. Alla maggior parte degli attori, Fellini faceva ripetere in continuazione dei numeri, poiché successivamente venivano doppiati, dando così un’importanza maggiore al loro volto.
Fellini sceglieva i suoi attori in base ai “difetti fisici” che mostravano, andando così a creare dei personaggi buffi e strambi (tipici della sua estetica), al quale però riusciva a dare forti cariche di erotismo, sensualità e carnalità.
I personaggi di Fellini erano spesso una rappresentazione simbolica di qualcosa di interiore, motivando così la necessità di rappresentarli in modo esemplare, talvolta sopra le righe.
L’amore di Fellini verso i suoi personaggi è palpabile, soprattutto per quelli femminili. Erano rappresentati esteticamente come agli antipodi della società ordinaria, ma che allo stesso tempo non sfigurano di fronte ad essa, anzi, la surclassano, facendo di loro le “divinità” del mondo felliniano.
Oltre alla componente simbolica e metaforica dei suoi personaggi, le pellicole di Fellini sono gremite di elementi che vanno interpretati (come il rinoceronte nel finale di “E la nave va”). oppure che vanno presi alla leggera, senza rifletterci troppo e intenderli semplicemente per quello che sono: frutto di una poetica che si basa sul sogno e sui ricordi (come la filastrocca che il protagonista di “8½” cantava da bambino). Facendo una cernita di queste scelte stilistiche, possiamo classificare le opere di Fellini come “artificiose”, poiché prive di ogni elemento reale, ma pervase di falsità, bugie e finzione, che per Fellini erano più reali della realtà stessa.
La psicanalisi e la crisi dell’uomo
Da “La Dolce Vita” in poi, le opere di Fellini assumono un carattere più psicanalitico, dovuto all’incontro con Ernst Bernhard, che lo fece avvicinare alla psicologia analitica della scuola junghiana.
Il pensiero di Jung non alterò la poetica felliniana, bensì la rafforzò. Il contatto con le teorie junghiane sul mito, sul simbolo e sull’archetipo, resero Fellini più cosciente e più padrone della sua fantasia creatrice, favorendo una maggiore consapevolezza sul mondo dei sogni e dei ricordi, che raggiungerà il suo apice in film come “8½”, “Satyricon” e, soprattutto, “Giulietta degli spiriti”, il suo film più psicanalitico (per approfondire meglio il pensiero di Jung, consigliamo la lettura di Gli archetipi dell’inconscio collettivo).
L’erotismo comincia a diventare parte integrante dei film di Fellini, anche se mai in maniera esplicita (tranne in alcuni casi, si veda “Il Casanova di Federico Fellini”).
Questo deriva dal fatto che per Fellini la libido non è semplice pulsione sessuale, come l’ha sempre definita Freud, ma è il nome dell’energia che si manifesta nel processo della vita, e che viene percepita soggettivamente come ispirazione e desiderio. Fellini intende con questo termine, un valore energetico suscettibile di comunicarsi a una qualsiasi sfera di attività, senza che sia un impulso specifico.
Assimilati i concetti di Jung, Fellini, che fino ad allora aveva sempre rappresentato l’inconscio personale dei suoi personaggi, allarga i suoi orizzonti. Si concentra su quello che Jung definisce inconscio collettivo, una situazione in cui tutti gli elementi spirituali e simbolici, che la nostra mente percepisce come impulsi primordiali, hanno il fine di unire insieme tutte le persone in modo universale, a prescindere dal contesto in cui si vive.
I personaggi di Fellini sono sempre più persi nel suo immaginario, svuotati della loro anima, alimentando in continuazione il processo di individuazione del proprio archetipo, unico modo per poter vivere in un mondo felliniano fatto di stramberie e assurdità, dov’è difficile orientarsi.
L’essere sperduti davanti a un mondo che non ha più i suoi centri di riferimento, porta i personaggi di Fellini a una crisi interiore e alla mancanza di un senso della vita, in cui le catene sociali, di abitudini e di valori sono l’ostacolo più grande che devono affrontare.
Di fatto, il processo di individuazione che guida i personaggi felliniani nello sviluppo della propria personalità è articolato in due fasi:
- la prima fase è volta alla presa di contatto con il mondo esterno
- la seconda, invece, è volta alla presa di contatto con il proprio mondo interiore. È volta alla scoperta di sé e alla ricerca di una propria dimensione, che quasi sempre coincide con il finale dei suoi film.
Il circo
Nel cinema di Fellini esiste un altro elemento costante, ovvero l’ambiente circense. Questo pervade ogni sua opera (si pensi a “La strada” e a “I Clowns”, due film dedicati interamente a quell’immaginario).
Il circo rappresenta nelle opere di Fellini il disordine che prorompe nella vita, sia in maniera positiva (parata finale in “8½”) che negativa (la festa in “I vitelloni”). Fellini cerca di dare un ordine al caos, ma esso riemerge, poiché è la vera radice del mondo. Se vogliamo capire cos’è la vita, dobbiamo guardare al caos, e non all’ordine. L’ordine è finzione e imposizione di valori che non sono reali. Quando rompiamo questi valori ci accorgiamo che il mondo è in disordine e ci sentiamo spaesati, ma è l’unica realtà del mondo.
Tecnica e padronanza
Nonostante il cinema di Federico Fellini sia più incentrato sulla messa in scena che sulla tecnica, non viene a meno di particolari guizzi registici. Fellini aveva un’ottima padronanza della macchina da presa. Conosceva bene i suoi movimenti, i suoi limiti, le sue potenzialità e lo spazio in cui si trovava.
Inoltre aveva un’ottima padronanza delle sue storie, permettendogli così di girare molto spesso senza sceneggiatura, un mezzo che a Fellini risultava assai limitante a livello creativo (nonostante avesse dalla sua parte scrittori del calibro di Tullio Pinelli, Tonino Guerra, Ennio Flaiano).
Quello di Fellini è un universo immaginario, destinato a diventare proverbiale e inconfondibile. Esso è fatto di ambiguo erotismo, orge e folli avventure, dove crollano miti, valori e convenzioni, ma sempre con un senso quasi ancestrale di appartenenza alla provincia, di attenzione ai cambiamenti della società, con una costante riflessione del cinema su sé stesso, che fanno della poetica di Fellini una delle più coerenti e autentiche della storia del cinema.
Conclusione
Come abbiamo visto, il cinema di Federico Fellini è un cinema fatto di personaggi, in cui la macchina da presa difficilmente si stacca dal loro volto.
L’influenza felliniana, oggi, è più presente che mai, non solo nel cinema, ma in qualsiasi tipo di arte, dalla musica, alla pittura, fino ad arrivare al fumetto.
Un poeta visionario, un simbolo universale di stravaganza, ironia graffiante e originalità, senza dubbio uno dei registi italiani migliori di tutti i tempi.
Per molti, Fellini è stato e rimarrà per sempre uno degli artisti più influenti della storia dell’arte, che continuerà a vivere nelle opere degli artisti futuri e nell’immaginazione dei creativi.
Filmografia
- Luci del varietà, co-regia di Alberto Lattuada (1950)
- Lo sceicco bianco (1952)
- I vitelloni (1953)
- Agenzia matrimoniale, episodio di L’amore in città (1953)
- La strada (1954)
- Il bidone (1955)
- Le notti di Cabiria (1957)
- La dolce vita (1960)
- Le tentazioni del dottor Antonio, episodio di Boccaccio ’70 (1962)
- 8½ (1963)
- Giulietta degli spiriti (1965)
- Toby Dammit, episodio di Tre passi nel delirio (1968)
- Block-notes di un regista (1969)
- Fellini Satyricon (1969)
- I clowns (1970)
- Roma (1972)
- Amarcord (1973)
- Il Casanova di Federico Fellini (1976)
- Prova d’orchestra (1979)
- La città delle donne (1980)
- E la nave va (1983)
- Ginger e Fred (1986)
- Intervista (1987)
- La voce della Luna (1990)